La denuncia arriva da Amnesty International ed è senza mezzi termini: le forme del capitalismo di sorveglianza dei big del Web corrodono la società e sono addirittura una minaccia per i diritti umani. Servono nuove misure culturali e normative per preservare il web come spazio pubblico di rappresentazione del sé, discussione e costruzione della cittadinanza. Alcuni strumenti già ci sono ma stentano a decollare. Il GDPR in particolare, ma anche tutto il compendio normativo legato al Digital Single Market, il Digital Service Act da ultimo, sono tra i più forti ed incoraggianti segnali a livello globale volti a regolare l’uso distorto dei dati da parte sia dei governi che del settore privato. Tuttavia, la loro efficacia a vantaggio dei diritti umani non mostra ancora l’attesa incidenza.
Amnesty International, celebre associazione non governativa che si batte per la tutela dei diritti umani, scende in campo e dichiara: il modello di business di Google e Facebook, basato sulla sorveglianza, è incompatibile con il diritto alla privacy e costituisce una minaccia per tutta una serie di altri diritti come la libertà di opinione, espressione, pensiero e il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione.
Lo fa all’interno di un report di sessanta pagine pubblicato nel mese di novembre e intitolato: Giganti della sorveglianza: come i business model di Google e Facebook minacciano i diritti umani.
Questo – si legge nel report – non è l’Internet al quale avevamo aderito inizialmente: con il tempo Google e Facebook hanno minato la nostra privacy e ora siamo intrappolati. O ci sottomettiamo a questa pervasiva macchina di sorveglianza, dove i nostri dati sono facilmente utilizzati per manipolarci e influenzarci, o scegliamo di rinunciare ai benefici del mondo digitale. Dobbiamo recuperare questa piazza per poter partecipare senza che i nostri diritti vengano violati.
Quali sarebbero quindi i costi per la società?
Allo stato attuale, le piattaforme possono costituire una grave minaccia per il tessuto sociale, l’economia e le regole della libera concorrenza.
I rischi sono:
Altre espressioni hanno una connotazione più economica e riguardano:
Emergono poi problemi etici legati allo sviluppo tecnologico:
Non è mancata la risposta di Facebook che, attraverso una nota di Steve Satterfield, direttore privacy e pubblicità, ha replicato: siamo in disaccordo con il report, il nostro social consente alle persone di tutto il mondo di connettersi in modi che proteggono la privacy, anche nei paesi meno sviluppati con strumenti come Free Basics.
Attraverso un suo portavoce, anche Google ha fornito una risposta alle accuse della ONG: Riconosciamo che le persone si fidano di noi per le loro informazioni, e che abbiamo la responsabilità di proteggerle. Negli ultimi diciotto mesi abbiamo apportato modifiche significative e creato strumenti per dare alle persone un maggiore controllo sulle loro informazioni.
Fonti: Agendadigitale.eu, Techcrunch.com, Amnesty.org
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